Leggere stimola la fantasia del lettore.
La lettura di un libro dona al lettore stimoli diversi rispetto a quelli ricevuti guardando un film. Nel secondo caso si svolge un’attività passiva: l’individuo deve solo metabolizzare ciò che sta accadendo di fronte a lui. Durante la lettura, invece, nulla ci viene messo davanti agli occhi, a eccezione di lettere e, in misura molto minore, numeri; sappiamo però quanto per noi sia importante il senso della vista. È per questo motivo che, volontariamente oppure no, grazie all’immaginazione la nostra mente elabora una riproduzione visiva del testo, rendendolo quasi reale.
Di fatto, quindi, utilizziamo l’immaginazione per creare e plasmare ciò che leggiamo. Diversi autori, purtroppo, danno un’interpretazione letterale di questo concetto. Qualcuno rimane vago fino all’eccesso e non chiarisce alcuni dettagli fondamentali per la comprensione della storia. Si giustificano con frasi tipo:
È voluto, devono essere i lettori a immaginare la scena, l’ho fatto per lasciar spazio alla loro fantasia.
Non posso scrivere tutto io, il libro diventerebbe noioso e i lettori non utilizzerebbero il cervello.
Non funziona così.
Non bisogna costringere i lettori a inventare delle scene soltanto perché lo scrittore è troppo pigro per sforzarsi abbastanza. In realtà, la maggior parte dei lettori non lo fa; semplicemente chiude il libro e lo lascia a prendere polvere.
Lo sforzo del lettore nell’usare l’immaginazione non sta nell’inventarsi le varie sequenze del testo (altrimenti dovremmo chiamarlo scrittore), ma nel rendere concreto, quasi palpabile, quello che legge. Se nella mia storia non dovessi mostrare il combattimento contro il terribile drago dalle scaglie d’argento e l’alito pestilenziale, ma mi limitassi a citarlo in un paio di righe, darei in pasto alla mente del lettore soltanto un insulso insieme di parole. Può andar bene se si tratta di eventi passati o di minore importanza, ma non se la storia ruota intorno a questa battaglia. Questo concetto va a braccetto con quello dello show, don’t tell.
Se si vuole rendere reale ciò che si scrive, bisogna mostrarlo.
Prendiamo come esempio la frase seguente: un mostro orribile. Orribile è un aggettivo astratto e soggettivo. Non ci dice nulla sul mostro, se non che è tale. La nostra mente lo inserisce nella categoria delle cose orribili, poi lo mette da parte.
Proviamo adesso a mostrarlo: un mostro peloso con tre braccia e cinque gambe, artigli affilati e denti appuntiti e sporchi di sangue. Non sarà il massimo come descrizione, ma è concreta e oggettiva. Non solo: abbiamo detto com’è il mostro, abbiamo dato un corpo al personaggio; il lettore si appoggerà a questi dettagli per crearlo nella sua mente. Ogni scrittore, naturalmente, plasmerà la creatura secondo i propri gusti, aggiungendo elementi come il colore, la dimensione, la forma e altre caratteristiche; il succo, però, è che soltanto mostrando, e non raccontando, possiamo stimolare l’immaginazione del lettore.
In sintesi: non lasciate tutto il lavoro al lettore. Non è per inventarsi la storia che leggerà i vostri romanzi.
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